Mai più dimissioni in bianco, o quasi

Ultima modifica 10 Novembre 2015

 

images-78Basta dimissioni in bianco? L’Aula della Camera ha approvato la proposta di legge, che pone fine alla pratica sulla base della quale al lavoratore, ma più spesso alla donna lavoratrice, si chiede di firmare una lettera di dimissioni al momento dell’assunzione.

Una lettera che può essere successivamente utilizzata dal datore di lavoro: il più delle volte, in caso di gravidanza, ma anche per una malattia prolungata o per la partecipazione a uno sciopero.
Il testo, approvato a Montecitorio con 300 sì, 101 no e 21 astenuti, passa ora al Senato. Pd e Sel hanno votato sì, la Lega si è astenuta, Ncd, M5S e SC hanno votato contro.

Da quel che sembra, quindi, nessun lavoratore dovrebbe più essere obbligato a sottoscrivere il temuto documento. Ma non sparisce la pratica in sé.

Ora, infatti, la lettera “di dimissioni volontarie” deve essere sottoscritta, pena la sua nullità, dal lavoratore su appositi moduli resi disponibili gratuitamente dalle direzioni territoriali del lavoro, dagli uffici comunali e dai centri per l’impiego.
La nuova normativa si riferisce a qualsiasi contratto: dai rapporti di lavoro subordinato a quelli di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, ai contratti di collaborazione di natura occasionale, alle associazioni in partecipazione e al contratto di lavoro instaurato dalle cooperative con i propri soci.images-76
La nuova disciplina assicura una semplificazione degli oneri amministrativi connessi alla risoluzione del contratto per dimissioni volontarie, salvaguardando, tuttavia, l’esigenza di garantire la certezza dell’identità del lavoratore richiedente e il rispetto del termine di validità del modulo di dimissioni.

Qualora la lavoratrice o il lavoratore si assentino dal lavoro, senza fornire comunicazioni, per oltre sette giorni, il rapporto si intende risolto per dimissioni volontarie, anche senza sottoscrizione dei moduli previsti dalla proposta di legge.

«Si tratta di una norma di civiltà a tutela del lavoro e dei lavoratori, a prescindere dal loro sesso», commenta Chiara Gribaudo, mentre Marina Nicchi di Sel sottolinea che la legge «risolve non solo un problema culturale, ma anche di diritti e doveri». Soddisfatta anche Laura Boldrini, Presidente della Camera, che ha posto l’accento sulla tutela dei diritti delle donne lavoratrici spiegando che è una questione di civiltà che dimostra attenzione alla condizione delle lavoratrici, ponendo fine a una violazione dei diritti delle donne.

Elisa Costanzo

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